VIAGGIARE POSITIVA (MENTE) ai tempi del Coronavirus

 

Solo alcune settimane fa un caro amico mi diceva che “Giulio Cesare aveva vissuto senza la cioccolata, senza il dentista ed aveva vissuto lo stesso.”  La frase mi è tornata in mente stamattina e mi ha fatto riflettere su questi giorni in cui tutti noi in Italia ci troviamo chiusi nelle nostre case. Siamo costretti a dover fare a meno di tantissime cose, cose semplici, apparentemente banali, che fino a ieri avevamo in abbondanza ma che prendevamo per scontate, perché mai e poi mai avremmo pensato che ci sarebbe potuto succedere di dover farne a meno. Non possiamo uscire. Non possiamo vedere i nostri cari. Dobbiamo stare lontani dai nostri amici. Abbiamo i nonni isolati nelle case e non possiamo andare a trovarli. Non possiamo andare a scuola né al lavoro. Nemmeno abbracciarci o darci un bacio o una mano. Non possiamo viaggiare.

Circa trent’anni fa, chi è cresciuto come me in quello che allora stava diventando la Croazia, ricorderà di aver vissuto una situazione di privazione simile a questa. Ricordo ancora di essermi alzata una mattina (avevo 13 anni) e di aver udito una sirena assordante e visto mia nonna disperarsi urlando che la storia si stava ripetendo e che eravamo in guerra. Da lì a poco iniziammo a nasconderci ogni giorno nella cantina per ripararsi dalle granate che stavano cadendo sulle strade di Zara e uscivamo nel cortile tra un allarme e altro fino a quando l’allarme non divenne continuo ed uscire fu sconsigliato del tutto. Ricordo le notizie di gente che moriva. Amici rimasti senza un genitore. Ricordo anche la solidarietà con i vicini di casa e ricordo ore e ore passate a farci coraggio raccontandoci le barzellette, giocando a carte e pregando. Ricordo i pentoloni di pasta che ciascuna famiglia del vicinato faceva a rotazione giornaliera per una quindicina di persone, ricordo le risate e ricordo che noi bambini, nonostante la mancata spensieratezza, eravamo pieni di speranza e felici di quel poco che avevamo.  Quello che contava era lo stare insieme e lo stare insieme rendeva sopportabile le difficoltà del periodo. Alcune volte in lontananza sentivamo le bombe e allora invece di entrare a dormire in casa restavamo semplicemente a dormire seduti sulle cassette di legno nella cantina, con la testa appoggiata sul muro umido, perché il tempo che ci si impiegava per alzarsi nel cuore della notte per ritornare nella cantina (a volte piena d’acqua per l’alta marea) poteva essere troppo lungo e fatale nel caso la granata avesse colpito la casa. Dopo giorni e mesi così l’andare a dormire vestiti e pronti per saltare giù dal letto nel cuore della notte divenne un rischio che si correva spesso. Anche allora non si poteva andare a scuola perché di fatto c’era la guerra e solo per alcune ore al giorno gli insegnanti fornivano le indicazioni su come preparare gli esami che alla fine dell’anno avremmo dovuto comunque sostenere.

E come se non bastasse venne a mancare l’elettricità mentre l’acqua calda scorreva solo un paio d’ore al giorno. Passammo dei mesi e mesi al buio totale, studiando e mangiando alla luce di candela, ascoltando la radio (andava a pile) e senza la tv. Mentre di qua e di la il silenzio assordante veniva interrotto dai bombardamenti o dal rumore degli aeroplani. Le giornate sembravano infinite e il tempo non passava mai. Durante l’inverno ci scaldavamo con la stufa a legna che usavamo anche per scaldare le bacinelle d’acqua. Non avevamo nulla. Non esistevano ancora le playstation, pc, Netflix o Sky. Un bel nulla a parte i libri. Fu allora che imparai a viaggiare con la mente, positiva (mente), giurando che se ne fossi uscita viva, avrei fatto qualcosa di buono nella mia vita e mai e poi mai avrei preso per scontato nulla e nessuno. Leggevo le storie sulle civiltà antiche, sognavo di vedere le piramidi, studiavo i trattati di archeologia e ascoltavo la musica classica. Quando qualcuno dei miei amici mi chiedeva dove volessi andare da grande, dicevo a Costantinopoli per vedere il più antico rilievo di un organo a canne e in Egitto per vedere l’Abu Simbel. Mi guardavano storditi non sapendo niente di quello di cui stavo parlando. Avevo nulla perché eravamo poveri e in guerra ma avevo libri e fantasia da vendere. Tutto un mondo fatto di sogni che rendevano la quotidiana realtà meno pesante e ti facevano sentire meno solo in quell’isolamento insopportabile.

“Giulio Cesare aveva vissuto senza la cioccolata, senza il dentista ed aveva vissuto lo stesso.” Anche noi ce la faremo, cari amici, a sopravvivere e forse a continuare a vivere senza tante cose …. Auguriamoci dunque che, una volta sconfitta la pandemia del Coronavirus, ciascuno di noi possa ritrovare la capacità di apprezzare di nuovo i veri valori di questa vita, quelli che fino a ieri avevamo preso per scontati o semplicemente dimenticato, dando la priorità a superfluo, correndo all’impazzata dietro il benessere materiale quando tutto quello che è “essenziale” è ben altro ed “invisibile agli occhi…”.

Sfruttiamo allora il tempo che abbiamo a disposizione per tornare a viaggiare con la fantasia, consapevoli di quel tempo che finalmente torna a scorrere lentamente e nelle nostre menti positiva(mente)…

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STAY TUNED!

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8 commenti Aggiungi il tuo

  1. Karen ha detto:

    Che bello…e grazie !

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    1. Mira Krizman ha detto:

      Grazie cara!

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  2. Patrizia Tedeschi ha detto:

    Sei veramente brava nel descrivere storie di vita, viaggi. Una volta ti avevo chiesto perché non scrivevi un libro, te lo chiedo nuovamente. ❤️👋

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    1. Mira Krizman ha detto:

      Grazie Paty! Già messo sulla lista di tante cose che devo fare! Mi raccomando, state riguardati! Un abbraccio 🥰❤

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  3. stefiblu ha detto:

    Ti abbraccio forte!!! 💕

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    1. Mira Krizman ha detto:

      Ricambio di cuore ❤

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  4. lapsicologasocial ha detto:

    Ho letto tutto d’un fiato! Bello!

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    1. Mira Krizman ha detto:

      Grazie mille!!!

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